11ª TAPPA: MONACO DI BAVIERA
“Fafner, il drago selvaggio,
in fosca foresta s’adagia;
con la mole tremenda del corpo
dei Nibelunghi il tesoro
egli là custodisce.
Alla forza giovanile di Siegfried
il corpo di Fafner ben soccomberebbe; del Nibelungo l’anello
egli mi conquisterebbe.
Serve all’impresa solo una spada; Notung soltanto giova al mio livore, purché Siegfried l’impugni a ferire: – ma io non la posso saldare”
Questa notte è stata un vero inferno. Alle 3.40 mi sono svegliato con i piedi intirizziti, ho srotolato il sacco a pelo per combattere l’umidità e non mi sono più riaddormentato.
Gli spifferi di aria gelida entrano dalla zanzariera della tenda e il tetto in nylon è bagnato come se avesse piovuto per ore.
Mi rassegno al fatto che sarà una giornataccia, e cerco in tutti i modi di porre rimedio al freddo.
La mattina mi accorgo di aver lasciato pantaloncini e pantaloni con il fondello che uso per pedalare fuori dalla tenda, sono bagnati fradici, mi devo fermare per farli asciugare, è categorico! Sono costretto a ritardare la partenza. Dovrei arrivare fino a Monaco di Baviera in 110 km con 40 kg, 3 ore di sonno, il collo spezzato e un ritardo ai limiti dell’imbarazzo.
L’ira può essere considerata una sorta di follia improvvisa che mina la lucidità della mente e delle proprie decisioni. Come quella di partire dopo le 11.
Finalmente gli indumenti sono asciutto. Preparo la bici, salgo in sella e parto. Monaco è l’ultima destinazione che ho programmato a tavolino, da qui in poi improvviserò continuamente. E’ arrivato il tempo di uscire dal tempo, per farlo occorre uscire dall’essere. d’altronde come si può gestire una cosa che non esiste?
La fortezza di Kufstein è la porta d’accesso alle Alpi, situata in un punto strategico e rialzato, dove la valle dell’Inn si restringe. Sono le 12 e l’Heldenorgel mi saluta con una delle sue 4307 canne.
In pochi minuti passo il confine e sono in Baviera, il paesaggio cambia, ma non bruscamente. Attorno all’Inn si aprono pianure incoltivate, intervallate da boschi dalla vegetazione ricca e variegata. Alcune Torrette d’avvistamento ornitologico sono sparse qua e la lungo la via. La strada passa dal liscio asfalto austriaco ad un tracciato in terra battuta quasi tutto in piano. Questo quadro è circondato da montagne più dolci delle alpi austriache ma pur sempre impegnative in bicicletta.
In greco la parola mania indica un demone che sconvolge la mente, ma anche una particolare forma di concentrazione, la mia mania mi porta nel silenzio. Il silenzio è un’esperienza musicale consapevole. La vita è rumore, il silenzio si sceglie, si cerca e si crea come le pause scritte tra una nota e l’altra di una canzone. Il silenzio crea delle immagini meravigliose che favoriscono un nuovo pensiero.
Ascoltare il silenzio significa prima di tutto vedere il mondo in una diversa prospettiva. Un universo fatto di pause da cui derivano le figure con cui interagisco nella quotidianità.
Le immagini possiedono una quantità illimitata di legami con il mondo, attraverso questi legami creo la mia realtà, che altrimenti rimarrebbe invisibile. Le possibilità sono infinite, guardo in basso, o a destra e le immagini cambiano. E’ un’esperienza immersiva, sono anch’io immagine, mi rifletto nelle infinite possibilità di esistere. L’atto della creazione è una questione sempre consapevole? Le immagini sono vincolate alle possibilità e ai mezzi cognitivi di ognuno di noi? Ci sono cose che non vedo pur avendole ad un palmo dal naso, le stesse che invece risultano chiarissime alla persona che si trova al mio fianco. La fotografia è un ottimo esercizio per trovare queste immagini e collegarle alla mia realtà. E’ come scoprire una lingua universale nascosta e mutevole che si articola intorno a me. Siamo noi ad osservare le immagini o è il contrario?
Il primo insediamento tedesco importante che incontro dopo aver passato il confine è Rosenheim, porta d’accesso alla Germania per chi come me arriva dal Brennero.
In antichità grazie al commercio fluviale viveva scambiando legno e sale. Oggi il legno rappresenta ancora il core business del luogo. I palazzi colorati settecenteschi nelle piazze ospitano birrerie e gallerie d’arte.
Sembrerebbe il luogo giusto per uno stop di qualche ora, ma ho la testa dura e vado a vanti.
Subito fuori dall’abitato comincia la vera sfida della giornata. Una salita di 400 metri con una pendenza disumana mi si pari davanti. Maledette piste ciclabili tedesche!
Ormai ho prenotato l’ostello a Monaco, e da buon ligure piuttosto che perdere 4 scudi faccio tutta la fatica necessaria per morire senza alcun senso.
La strada è impraticabile per me. La fatica è amplificata dalle poche ore di sonno e dall’ansia di non arrivare per cena. Dopo aver chiesto una mano a tutte le divinità che conosco riesco ad arrivare in cima, da adesso fino al centro di monaco è solo discesa. Potrei farcela.
Monaco è una città dinamica, ricca, vivace e molto bella. Per molti la festa della birra più famosa del mondo è l’unico motivo venire qui. Ma Monaco è bella anche da sobri.
I grossi bollitori della Spaten mi danno il benvenuto. In centro città i ciclisti sembrano formiche e si muovono in tutte le direzioni attraverso un rete ciclabile all’avanguardia.
Trovo un ricovero per la notte a Durendal, poso i bagagli che pesano come macigni. Sono distrutto, mi fanno male le gambe e ho una fitta al deltoide destro.
Il mio compagno di camera è siriano, parla solo tedesco. Proviamo ad instaurare un rapporto ma non è proprio possibile. Le barriere linguistiche sono una cosa davvero disarmante, la comunicazione è assente. Mi sento un primate.
Al ristorante l’efficenza tedesca non solo vacilla, ma crolla del tutto.
Nel menu non c’era quasi nulla, la cameriera era palesemente ubriaca. Cambio birreria ma rimango vicino all’ostello, questa sera sono comodo. Ordino in altro litro.