13ª TAPPA: Norimberga
Il popolo di Norimberga fa uso di un doppio
orologio; uno è quello “volgare”, usato
dappertutto, che mostra le ore
numerate dalla Mezzanotte precedente a
quella successiva “
”….; l’altro viene
dall’antichità ed usualmente numera
le ore diurne dal sorgere del sole, come nella
civiltà Babilonese, e le ore notturne dal
tramonto del sole. Per questa ragione,
senza dubbio, viene denominato “grande
orologio”; in estate esso numera
più di 12 ore in un giorno chiaro e in
inverno più di 12 ore nella notte…
La partenza è alle 8 da Ingolstadt. Il mio interpretare il tempo in maniera differente non significa che non ne sia soggetto. Nonostante i miei sforzi a cercare di capirlo, anche la mia vita scorre in un unica direzione. La giornata è bellissima, non c’è una nuvola in cielo e il termometro segna 22 gradi. La città dorme dopo una notte di baldorie. Tutti i negozi e i ristoranti sono chiusi, dopo aver bevuto un caffè con la moka, cerco un luogo dove potere fare colazione prima di cominciare a pedalare verso Norimberga. Mi aspettano 104 km di strada tutta ciclabile e non voglio farli a stomaco vuoto.
La Germania è tutta piatta, dicono in molti. Ma chi lo dice, ci sarà mai stato in Germania?
I saliscendi delle colline seminate di granturco sono ripide, specialmente nella prima parte del percorso. A un terzo del tracciato comprendo che di domenica la Germania diventa un grosso gigante addormentato, ma sopratutto intuisco che sarà quasi impossibile trovare qualcosa da mangiare. Le cose si mettono male. Non voglio entrare in crisi energetica, così comincio a muovermi in economia, convincendomi che possa servire a qualcosa. La mente si concentra solo su un obiettivo, arrivare in fondo. Per la prima volta la stanchezza mi fa perdere la lucidità, non vedo e quindi non riesco a fotografare. Metto la GoPro in registrazione continua e vado avanti. Intorno a me, tutto è nero, lo sfondo è sparito, l’asfalto scorre sotto le ruote, rimane solo il movimento. La realtà che sto vivendo è tangibile, la percepisco, e avvolge tutto quello che mi circonda; è come un buco nero che mangia tutto quello che di bello ho intorno. Questo mi conferma che le cose esistono perché le osservo. Se non le vedo, non esistono.
Il mio fisico sta cambiando e si sta adattando al tipo di sforzo che sto facendo. Il corpo modifica le sue caratteristiche al variare delle condizioni ambientali. Cerco di rimanere in equilibrio con ciò che mi circonda.
La ciclabile incrocia la strada carrabile al km 70. Le gambe sono molli. Entro in una stazione di servizio e divoro tutto quello che posso. Bevo un litro di cola artigianale e mangio una torta in un secondo. Gli zuccheri si diffondono nel corpo, dandomi una sensazione di benessere. Da casa arrivano energie positive.
Al km 85, nei pressi di una fontana, incontro Valentine, un uomo lituano che vive a Norimberga. È in gita domenicale con il figlio. Mi chiede da dove arrivo e dove sto andando. Parla tedesco, francese, lituano russo e inglese. Vive in Germania dal 93. È figlio dell’Unione Sovietica, crollata a causa di quella che avrebbe dovuto rappresentare una ricostruzione realizzata attraverso la privatizzazione di molti settori economici statali, la libertà di informazione, la riduzione del controllo militare e politico sui Paesi dell’Est e i trattati con gli Stati Uniti per il disarmo dei missili. Queste iniziative, però, finirono con il provocare forti tensioni economiche e politiche tra le repubbliche e le tra le diverse etnie; il governo sovietico presieduto da Gorbaciov si dimise il 25 dicembre 1991 portando allo scioglimento del Partito comunista e al dissolvimento dell’Unione Sovietica. Quella che doveva essere una ricostruzione si rivelò una sorta di implosione. Dal 1991 al 2000 la Russia provò ad entrare nel mercato libero, l’inflazione e i salari da fame, resero gli anni precedenti un ricordo di abbondanza. Mega svendite delle proprietà statali consegnarono ricchezza e potere nelle mani di un pugno di ex funzionari. Altri, con minor potere, persero ogni cosa. Valentine è lituano e nonostante questa nazione oggi sia libera, prospera ed estremamente europeizzata, lui si sente e vuole essere tedesco.
Mancano 20 km, comincia il count down. Aumento il ritmo contro ogni aspettativa. L’idea di arrivare è più forte della stanchezza. Sto costeggiando il fiume, la strada è in discesa. Attraversare un porto fluviale di queste dimensioni mi fa impressione. Sono abituato ai porti marittimi, e vedere strutture e moli su entrambe le sponde di un fiume mi fa porre diverse domande sul ruolo che hanno i fiumi nello sviluppo dell’umanità. E’ un colpo d’occhio importante per uno che è nato sulla costa ligure.
Arrivo a Norimberga alle 18. Non c’è molto traffico, la statua di Albrecht Dürer mi dà il benvenuto. Norimberga è una città bellissima. Qui si svolge il Bardentreffen, una sorta di festival di San Remo tedesco, che dura da 40 anni. All’inizio la manifestazione era limitata a cantautori della regione, poi si è aperta a tutta la nazione. È la più grande manifestazione del genere, è all’aperto ed è gratuita.
Il ritmo serrato a cui mi sto sottoponendo è massacrante e mi lascia poco tempo per scrivere e per fotografare. Gli unici bisogni che desidero soddisfare sono placare la fame e riposarmi. L’ostello è nel centro della via rossa e raggiungerlo è una priorità.
A cena penso al luogo in cui sono approdato. Ne ha passate di sventure. Dopo la scoperta delle Americhe, la città esce dalle rotte commerciali internazionali e comincia un lento declino che durerà fino all’inizio del secolo scorso. Ma non è per i festival di musica che Norimberga viene ricordata, nemmeno per le birre o per avvenenza delle sue abitanti, o per la bellezza dei suoi monumenti.
Il 2 agosto del 1945, fu annunciata l’istituzione di un tribunale militare per la condanna dei principali criminali di guerra nazisti. La Carta di Londra introdusse diversi capi d’imputazione: crimini contro la pace, crimini di guerra, crimini contro l’umanità.
Davanti al tribunale di Norimberga sfilarono gli onnipotenti di un Reich defunto, impegnati a salvare la vita davanti ai giudici, in un meschino ripetersi di atteggiamenti contraddittori. C’era chi ostentava una sicurezza cinica, chi manifestava pentimento e rammarico, chi rinviava a responsabilità altrui, chi denunciava le colpe di Hitler e chi si appellava al dovere militare di prussiana tradizione. La sentenza venne pronunciata il 30 settembre 1946. Dodici dei principali imputati furono condannati a morte per impiccagione: Hermann Göring (che si suicidò prima dell’esecuzione), Joachim von Ribbentrop, Ernst Kaltenbrunner, Alfred Rosenberg, Hans Frank, Wilhelm Frick, Fritz Sauckel, Julius Streicher, Alfred Jodl, Arthur Seys-Inquart, Wilhelm Keitel (oltre a Martin Bormann, condannato in contumacia). Sette altri imputati vennero condannati a pene detentive, scontate nell’ex prigione militare di Berlino-Spandau. Tre furono assolti (Hjalmar Schacht, Franz von Papen e Hans Fritzche). All’elenco degli imputati va aggiunto anche Robert Ley, capo del Fronte tedesco del Lavoro, suicidatosi prima dell’inizio del processo.
Con la testa piena di pensieri sul passato che qui pesa come un macigno e dopo qualche birra, tornando in ostello, un serie non quantificata di Giuliette provenienti dall’est Europa mi richiamano la mia attenzione dalla finestra o affacciate ad un balcone. No, non sono io Romeo. Sorrido a tutte per educazione. Alcune accennano una serenata in tedesco che entra nella mia testa come una nenia. Vado a dormire pensando a casa mia.