32ª TAPPA: Stoccolma
Mai avrei pensato prima di attraversare un paese in guerra in maniera cosi lenta, cosi selvaggia, con l’unico scopo di cercare di capire il perché, con la voglia di vedere. Da quando ho compiuto i 40 anni sogno con i sensi vigili, ma da sempre sono capace d’immergermi così profondamente in una visione, da farla diventare reale. Da un momento all’altro, parto alla ricerca dalla continuazione di una storia, che fino ad allora avevo solo immaginato. Le mie esperienze non hanno mai un inizio e quasi mai arrivano alla fine. E’ come se la metà della mia vita cominciasse in un’altra dimensione e, in questa in cui mi muovo fisicamente, dovessi solo riprendere il filo della matassa e seguirlo fino alla fine. Le differenze tra questo mondo e quello onirico sono sensibili, la ripresa del bandolo avviene sempre in uno spazio devastato, senza sorprese.
Quando sono in viaggio io mi sento a casa. Ho la libertà di non dover mostrare nulla, se non a me stesso. Non simulo, non esagero, non stabilisco, non incarno ruoli, non mi vesto alla moda e non mi faccio notare. A casa è impossibile. In qualche modo, qualunque sia il tipo di frequentazione, siamo obbligati a scegliere cosa rappresentare, in cosa identificarci. Siamo obbligati a giocare ad un gioco con regole prestabilite, se prendiamo una scorciatoia e giochiamo secondo le nostre misure, veniamo etichettati come persone senza morale. Ma attenzione perché ho imparato che il mondo non prende sempre tutto alla lettera, siamo abituati a scambiare i nomi con le cose per semplificarci la vita ed è per questo che troppo spesso non ci capiamo.
L’avvicinamento a Stoccolma non è solo fisico, ma sopratutto mentale. Stoccolma è a metà del mio viaggio. Il giro di boa di un‘esperienza fino ad ora incredibile, ricca di emozioni e introspezione. E’ uno spazio a cui accedo senza muovermi.
Ore 5.50
Il sole filtra attraverso la membrana di nylon della tenda. Page ha raccolto le sue cose ed è pronta a partire. Ho già capito che oggi mi toccherà rincorrerla.
Partiamo in silenzio, scendendo dal sentiero della collina, e attraversiamo la nebbia del mattino che lentamente si dirada, con l’aiuto di un pallido sole che scalda timidamente un’aria che punge il volto. Lentamente ci avviciniamo alla città e il paesaggio cambia radicalmente. L’urbanistica modifica lo spazio, ma si esprime nel rispetto della natura. Cambiano i negozi, i vestiti della persone e pure i prodotti venduti dalla stessa catena di supermercati sono differenti. Soprattutto cambiano i prezzi.
Nei pressi di Stoccolma si delinea una skyline disegnata dai primi palazzi che superano gli alberi in altezza. I giardini moderni, puliti, a misura d’uomo, sono dappertutto. Qui tutto è costruito in maniera inclusiva. La immaginavo come una delle città giardino di Howard. Tanti non luoghi autosufficienti dalle dimensioni limitate a 30.000 abitanti, collegati tramite mezzi, con un centro circolare che giustifica la necessità degli spostamenti ridotti, per evitare perdite di tempo tra campagna e centro città. Non mi sono sbagliato.
Stoccolma è come un’isola abitata da una società dove a chiunque, indipendentemente dalla condizione economica, dal genere, dall’età, dalla razza o dalla religione, è permesso partecipare produttivamente e positivamente alle opportunità che la città ha da offrire. Poco dopo essere entrati nel cerchio metropolitano Page scompare nella stesso modo in cui è apparsa. Come una meteora che si consuma a contatto con l’aria, la sua figura si allontana velocemente con un semplice bye dalle mano. La sua presenza si gretola davanti ai miei occhi. Arrivo in ostello. Sogno una doccia da giorni. La struttura è all’avanguardia, confortevole, luminosa. Ogni cosa è fatta per toglierti pochi centesimi dalla tasca che, sommati, alla fine della giornata ti fanno chiedere perché non hai prenotato un albergo a 4 stelle in centro. In queste giornate cammino per le strade senza metà, colto da un ebrezza. Il mio portamento acquista vigore ad ogni passo verso il seducente fascino ammaliatore dell’angolo successivo. Qui la realtà si manifesta come uno show, la fiction è un dispositivo sociale, un patrimonio di massa che con il tempo è diventato perfino educativo. La città si vive attraverso una lettura? La città s’impara, chi non la vive abitualmente deve imparare a leggerla. Ogni città parla la stessa lingua, ma ognuna si esprime con un proprio “dialetto”. Roma e Stoccolma hanno due modi differenti di connettersi con le persone, ciononostante i principi guida della vita all’interno di una metropoli sono i medesimi, in ogni parte del globo. Ogni agglomerato urbano presenta un meccanismo di ricezione e auto rappresentazione che vengono espressi attraverso la tecnologia. Nel momento in cui lo spazio si afferma non più come vuoto, la massa che lo vive diventa un pubblico, con il desiderio di dimenticare la propria individualità. Attraverso il meraviglioso spettacolo di luci intermittenti e colori artificiali mi mescolo a questa massa e conquisto spazi che fino a ieri mi erano inaccessibili o addirittura inesistenti. Alla lunga questo annienterà la mia personalità appena riconquistata, aumentando il desiderio di dimenticarmi a favore di una cultura di massa per la massa. Attraverso un mare di esposizioni luminose, il mio occhio si atrofizza e la sua capacità di riflessione piana svanisce, per svolgere il compito di pubblico non indagatore. Mi fermo a Stoccolma solo 4 giorni, il tempo necessario a non sprofondare nell’oblio. Il giorno successivo all’arrivo apprendo le notizie provenienti dal mondo, che è andato avanti anche senza di me. E’ morta la Regina Elisabetta II e Carlo è diventato finalmente Re, l’Ucraina sferra una controffensiva a Kharkiv che manda in rotta l’esercito russo, sta per scoppiare una guerra tra Grecia e Turchia e la Corea del Nord decide autonomamente che se vuole può radere al suolo il Giappone in via preventiva. Poteva andare peggio.
Mi volto per osservare l’ultimo mese e vedo il passato remoto, la cui lontananza è più psicologica che cronologica. Tutto sembra così dannatamente distante. Quando viaggi lentamente, assorbi i luoghi, li assimili, li digerisci e diventano parte di te. Per questo sembrano cosi lontani. La quantità di informazioni ed esperienze che inconsciamente assimilo, mi fanno sembrare le cose successe ieri già sbiadite nella memoria. Le differenze si colgono nelle sfumature e talvolta queste sono così marcate da rendere le esperienze nuove già passate.
Giorno 3
Mi ero dimenticato quando può essere comodo un letto. Mi sveglio circa alle 7.00 della mattina. Fuori piove, ma questo non fermerà certo la mia voglia di vedere. In camera siamo in sei, quattro ragazze di quattro nazionalità diverse, intrepide giovani esploratrici di un mondo che ancora non le ha deluse, un ragazzo egiziano che dorme tutto il giorno e poi io.
La camera è piccola e gli odori al mattino sono alquanto sgradevoli. Mi alzo e sedendomi sul bordo del letto incrocio lo sguardo vigile della ragazza marocchina che dorme di fronte a me. Capisco al volo che per conquistare il bagno dovrò effettuare un blitzkrieg, ma la mia mossa si trasforma in una Caporetto e quanto prima comincia la danza di capelli phonati, cerette, creme, che mi terranno inchiodato in camera fino a mezzogiorno.
Finalmente riesco ad appropriarmi del mio tempo, esco alla conquista dello spazio e sfidando le intemperie mi dirigo verso un deludente museo della fotografia. Ripiego sulle esposizioni del Museo d’Arte Moderna e per finire saluto l’imponente impotenza del Vasa, recuperato dal fondo di un mare che non ha mai solcato. La pioggia limita i miei movimenti e modifica la spazio intorno a me, cambia la forma delle cose. Sono stanco. Domani comincerà la seconda parte del viaggio, quella più impegnativa, la più dura per il fisico e soprattutto per la mente.